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Giro autunnale per le montagne.

Oggi vi provo a descrivere una tranquilla domenica in moto di fine novembre...

La sveglia arriva presto, non serve impostarla, è la smania che ti cerca, quando fuori è solo buio e silenzio e tu sai che oggi andrai in montagna, in moto, sulla neve, nel fango, a vedere cosa c’è e se ce la farai a salire.

Cit. Perché fate questo? E’ domenica, fa freddo, ci sta la neve, voi siete matti.

Il mondo è pieno di domande senza risposta e di matti, non vedo come potrei fare la differenza.

Dire che l’aria oggi era frizzante è poco, tagliente forse rende più l’idea.

Siamo in due oggi, quindi si può andare lontano, di buon passo, spediti ma senza spingere mai troppo, la strada è lunga e insidiosa, si prospetta una lunga cavalcata.

Certo, ci sono pezzi dove è dura tenere a bada la cavalleria dei 300oni ma la moto porta sempre il conto a fine giornata quindi meglio tenere una bella riserva.

I paesaggi sono variegati e stupendi, l’aria fredda regala una definizione eccezionale al mondo attorno. Attraversiamo campi, fangaie viscide come sapone e poi boschi per mulattiere sperdute. Ci sono pezzi dove stare lontani almeno 10 metri è d’obbligo pena l’essere colpiti da palate di fango addosso da chi ti precede. Qua e là ruderi e case di un mondo antico che si è perso, strade e sentieri una volta ben tenuti sono ormai diruti e costellati di crateri e massi. Poi cominciano le pietraie, quelle cattive che non ti danno tregua. Le rocce sono bagnate come tutto quello che è appena stato avvolto dalla notte, guido in piedi lungo questo tratturo dove io e la moto cerchiamo di masticare pietre di qualunque dimensione, scalini, ciotti e sassi in rapida sequenza. Ognuno di noi si inventa traiettorie sue, provando i margini scoscesi e più sgombri da sassi ma il prezzo da pagare per scorrere meglio è la neve che ti cade addosso a palate da rami e piante. Se devo provare a spiegare questi tratti, pensate ad un rodeo, il manubrio sono le corna dell’animale.

Ma si va avanti, keep going, con le mani che fanno male nonostante i guanti invernali.

Il premio? Un caffè al paese dei volti sulle rocce. La strada è coperta da qualche centimetro di neve ghiacciata, sullo sfondo un maestoso Gran Sasso bianco ed austero sembra dentro una cartolina a portata di mano. Il paese è deserto, poche case, ancor meno persone ma tanti gatti in giro. Mi innamoro di una tartarugata a caccia nei pressi del bar/ market di paese. All’interno 3 vecchietti che ci guardano curiosi, di qua non passa mai nessuno, specie in giorni così dice uno. Penso che avere un’attività qui sia più per compagnia che per guadagno, ammiro il proprietario. Ci serve un’ottimo caffè in 2 bicchierini di vetro, la versione piccola di quelli da pasto di una volta, strombati in alto, in vetro liscio. Nonna li aveva uguali.

Quanto vale un caffè così? Dopo la fatica fatta e con le montagne innevate di fresco sotto un cielo terso?

Ti senti vivo.

Si riparte, veniamo inghiottiti da una bianca faggeta, la neve scricchiola sotto di noi ma ci sono anche molte pozze d’acqua e fango dalla profondità bastarda, che non ti aspetti. Al solito si prova a passare ai margini, tra il dirupo e le pozze, sempre una questione di scelte. Poi la strada scende ripida e viscida verso il fiume, il fondo è fango misto a foglie, l’aderenza è sempre molto precaria, cerco di non caricare mai l’anteriore ma prova a scapparmi più e più volte, non è semplice, ma qui viene il bello, quando sei così concentrato vivi nel presente e comincia la magia… non serve spiegare altro, non esiste più passato e futuro, sei nel momento, spariscono i problemi, non pensi, eccola la magia. Quindi paradossalmente più diventa difficile stare in piedi e meglio è, quando una cosa ti fa star bene te la fai comunque piacere, e alla fine vai proprio a cercarla. Un lungo tratto va avanti così, ricominci a respirare, poi inevitabilmente il ritmo cala al guado. I guadi, quelli di fiumi importanti sono un misto di eccitazione e timore, specie d’inverno dove non puoi sbagliare. Segue la salita, anche qui rognosa, viscida, la terra è grassa di acqua neve, si parte subito cattivi col gas in mano, le moto scodano da tutte le parti, ma, vietato mollare, se ti fermi sei finito e devi rifare tutto da sotto.

Anche qui torna la magia, mentre la moto danza nel fango sai che puoi solo assecondarla, puoi indirizzarla certo, ma alla fine decide lei le traiettorie, quindi sfrutto tutte le sponde possibili e non si molla niente. Chi sta dietro si prende mitragliate di fango. Il fango è strano, quando la moto inizia a partire avanti e dietro viene naturale chiudere il gas per riportare tutto sotto controllo, sbagliato, è lì che devi mantenere velocità per evitare di tirarti ancora più fango dietro che ti bloccherebbe l’anteriore.

In pratica, se riesci a scorrere tenendo una buona velocità con la moto che va da tutte le parti e non ti impressioni stai facendo la cosa giusta.

E il pranzo? Ah si, quello ci vuole, ci fermiamo lungo una trattoria di montagna, popolata da un mondo vario, fatto di cacciatori, spaccalegna, anziani, gente segnata dalla fatica e dai bicchieri, simpatica, alla mano, perché quassù ci si saluta tutti anche se non ci siamo mai visti, grazie a Dio ancora.

Risotto ai porcini il piatto di oggi, può andare? Risposta a senso unico, andata.

Si riparte con buoni propositi, panza piena etc etc, ma alla prima stradella si torna a mangiare fango e ignoranza. Ci attende la lunga salita della chiesetta, più cammini meno fatichi, le gambe stringono la moto, peso dietro e anteriore leggero che spiana più sassi possibili. Certo, le sospensioni fanno quello che possono, bisogna sempre crederci, avere fiducia. Ogni tanto pare che esplodano bombe sotto la ruota, ma è tutto normale. Quando capisci che nell’enduro non c’è nulla di definito ed è tutto un imprevisto il quadro si fa più limpido. Almeno finchè non torniamo a quota neve, argggg, ci sono passate le jeeps ed hanno compattato il fondo ghiacciato, ergo zero trazione. Poco male, si cerca neve fresca ai lati o al centro e si sale chiudendo ogni curva con ampie derapate sotto coppia, goduria.

C’è una sottile linea di demarcazione tra avere il controllo e pensare di averlo, ma riuscire a rimanere su quella linea è un’altra magia.

A questo punto le ombre iniziano ad allungarsi, siamo a quota neve e dobbiamo scendere in fretta, solitamente quelle che sembrano scorciatoie non lo sono ma dato che non impariamo mai ci lanciamo (letteralmente) in una mulattiera che scende ripida e tortuosa nel bosco. Praticamente è un single track innevato, ed oggi praticamente è una pista da bob. Tanto sono ripide e strette le curve che si curva solo pestando il pedale freno o facendo tutte le sponde di traverso, non c’è storia, tornano 20 minuti di magia, impegno massimo, in un silenzio surreale dato dalle moto spente che scendono a folle tra alberi innevati, rocce, e tronchi buttati giù dal vento e dalla neve. Usciamo dalla quota neve, ma entriamo in quella del ghiaccio, poco male, almeno ci siamo scaldati nella discesa. Scorgiamo le colline fuori dal bosco, in lontananza il mare, mi giro e dietro la neve, spettacolo.

Ci salutiamo, sporchi, stanchi, provati, ma alla fine rimarrà il ricordo di un’altra giornata epica trascorsa in sella alle nostre moto.

Ecco come è trascorsa questa domenica 26 novembre 2023 per me.

Davide Stramenga